Torino: Palafuksas

 

Vorrei progettare un edificio come quello, nuovo, in piazza della Repubblica, Porta Palazzo, a Torino. Un edificio senza nome, al momento è il "PalaFuksas", tra virgolette come una citazione, come qualcosa di cui si ha soggezione, come qualcosa che non si sa definire in modo soddisfacente.

La storia è la seguente: le quattro porzioni di Porta Palazzo non avevano la stessa dignità: una, con la tettoia dell'orologio, imponente, metallica, art nouveau, si metteva in mostra e dominava, dal basso, la piazza; due con i bassi e anonimi fabbricati ottocenteschi del mercato si proponevano senza fronzoli per ciò che potevano offrire: duro lavoro e copertura per i venditori; il quarto era uno scempio. Senza grazia e senza tatto, cafona in un salotto, pur se decaduto, della città, si discingeva un ammasso inconcludente di lamiere e formica. Dentro trovavano luogo i banchi del mercato dell'abbigliamento, chiassosi e disordinati non facendo che amplificare l'ineleganza del contenitore. Non poteva avere futuro la struttura di cenci: proveniva dal passato volgare degli anni cinquanta o sessanta, quando si abbattevano le vetrine ottocentesche dei caffè di via Po per rifarle in alluminio.

Poi arrivarono le ruspe, dopo poco le gru, fino a quando iniziò a spuntare da dietro le protezioni uno scheletro dinoccolato, asimmetrico, e sicuramente qualcuno ha iniziato a lamentarsi, a giudicare un architetto senza conoscere il progetto, senza aspettare il termine dei lavori e, soprattutto, senza capire nulla di architettura. Sullo scheletro fu poi applicata una corazza di vetro, e infine delle lamieracce sono andate a coprire l'edificio.

Finalmente il quadrante derelitto poteva tornare a mostrarsi al mondo: sarebbe stato all'altezza dei compagni? sarebbe stato bello? o, quantomeno, utile? Sicuramente non è più necessario vergognarsi in vece sua. La corazza di vetro industriale riunisce in sè curiosamente rozza funzionalità e eleganza, la disposizione orizzontale degli elementi offre una piacevole sensazione di compostezza e solidità all'esterno, mentre le coperture sghembe e la grossa trave arrugginita all'ingresso infondono una sensazione di inquietante precarietà e caducità.

È però l'interno dell'edificio che ne racchiude il fascino: una piazza coperta e cava, un insieme di vuoti collegati dal nulla, un immenso e preziosissimo scrigno costruito con materiali di scarto, la copertura di stupido alluminio che sembra una volta affrescata, ruggine dappertutto, sberleffi di intonaco e passerelle che si intersecano. E le colonne, di cemento, con la loro prospettiva ipertrofica, non solamente colonne, ma piramidi tecnologicamente esasperate. Nel cavo della piazza, la volta della ghiacciaia, cinque metri sotto il piano di calpestio, è stata estratta dal terreno, come non le era mai capitato, per mostrare la propria arcaica grazia sensuale all'interno dell'edificio che più freddo e moderno non si può.

Tutto ciò può essere un mercato dell'abbigliamento? Probabilmente no, il palazzo ha un carattere troppo forte per ridursi ad essere un centro commerciale, la sua struttura è troppo complessa e impalpabile al tempo stesso, probabilmente la complessità del palazzo distruggerebbe il mercato, e il mercato annienterebbe l'impalpabilità del palazzo.

Il contenuto dal contenitore è stato parte dell'esposizione della Triennale Tre musei, opere che sembravano (erano?) realizzate per il luogo espositivo, e in quel caso il contenuto e il contenitore non si sono elisi ma si sono rafforzati, rendendo l'insieme un'esperienza totalizzante e completa sui cinque sensi: la vista, è facile, è colpita dalle linee caotiche, dai bianchi e dai grigi; l'udito è preda delle musichette ripetitive e dei cupi suoni delle installazioni; il tatto, poiché le mani non si trattengono dal tastare le superfici lisce di intonaco e quelle scabrose delle travi; l'odorato è sopraffatto nella stanza delle muffe, una nicchia bagnata, muffosa e cangiante; infine il gusto, senso negletto in architettura, si prende una rivincita dando una bella leccata alla struttura rugginosa degli ascensori.

Palafuksas
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