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La birreria di Mala Strana

 

--- Il racconto breve manca per il momento del finale. Se lo desiderate potete proporne uno, scrivendolo voi oppure dando le indicazioni necessarie affinché lo scriva Carlo Cinato. Il vostro finale verrà pubblicato sul sito se verrà ritenuto interessante, sottostarà alle regole di diritti d'autore proprie del sito Carlocinato.com e rimarrà di vostra prorietà, quindi verrà eliminato dal sito se lo chiederete successivamente. Se siete interessati, per favore, scrivete a scrivi@carlocinato.com. ---

 

"Cesky cesky krumlov krumlov?"

L'uomo enorme ti guarda interrogativo. Tu hai capito solo che ti ha fatto una domanda, ma non hai alcun indizio sull'argomento che sembra interessarlo tanto. Adotti allora la vecchia tecnica del sorriso e del sorso di birra. La luce di curiosità negli occhi dell'uomo a poco a poco si spegne, poi anche il suo sorriso sparisce, come sulla faccia di un bambino quando capisce che un bel giocattolo non potrà essere suo.

Poi, mentre ti complimenti con te stesso per essertela cavata egregiamente e ti stai premiando con un pezzo di aringa affumicata: "Cesky cesky krumlov krumlov?". Gli occhi dell'uomo sono nuovamente raggianti di speranza, si vede che è convinto che finalmente a questa domanda - diversa dalla precedente? A te i suoni sembrano uguali - fondamentale risponderai e si avvierà una interessante discussione transnazionale. "Gliel'ho già detto: sono italiano, non capisco il ceco, non so cosa mi abbia detto e di cosa sta parlando. Mi dispiace molto, davvero, ma è così".

L'uomo ti guarda fisso negli occhi con lo sguardo a metà tra il pensieroso e il bovino, evidentemente sta cercando di associare a delle parole ceche ciò che hai detto, ma non sembra soddisfatto del risultato ottenuto, e il sorriso è sospeso nell'indecisione se scomparire o rimanere sulla bocca ancora un poco. "Prosim?". "Non capisco ciò che mi dice, capisco solo dekuj, dobry den, pivo e prosim. E basta, niente, nulla."

L'uomo a sentirti dire delle parole note spalanca gli occhi, come se gli avessi confidato il segreto della giovinezza eterna. Sobbalza sulla sedia, si sfrega le mani e, oramai convinto di avere di fronte uno che conosce a fondo la sua lingua, inizia una lunga frase in ceco. Tu cerchi di dare alla tua faccia un'espressione di profonda comprensione e di partecipazione alle vicende narrate dall'uomo, ma sai che non ci stai riuscendo. Allora, di nascosto, vaghi con lo sguardo per la pivnice, la birreria. Ci saranno una decina di piccoli tavoli, tutte le sedie sono occupate da uomini e, poche, donne, tutti cechi, nessun turista. Ognuno ha di fronte un boccale di pilsner e sul tavolo un foglietto con un tratto di penna per ogni boccale bevuto, e i tratti spesso sono tanti.

L'oste ha la faccia simpatica, e si muove con agilità nei piccoli spazi liberi per raggiungere ogni punto del locale e non permettere a nessun avventore di rimanere per più di qualche secondo con il boccale vuoto di fronte. Ogni tanto qualcuno si alza, un po' barcollando, esce dal locale e torna poco dopo, visibilmente soddisfatto. La frequenza di questa processione aumenta con l'avanzare della notte. Il locale è fumoso, come non ti capitava più di vedere da un po' di tempo.

Sei seduto in un tavolo d'angolo, perché questo posto ti ha indicato l'oste quando sei entrato, e subito dopo hai ricevuto il primo boccale di birra e il tuo foglietto ancora giovane di un solo tratto di penna. Solo dopo il primo sorso ti sei accorto che di fianco ti sedeva un uomo di dimensioni notevoli che ti fissava in silenzio, con affetto avresti detto, come si fissa solo un vecchio amico ritrovato dopo tanti anni di lontananza. L'uomo aveva lo sguardo a volte vivace e a volte spento, di fronte un boccale pieno di birra e un foglietto affollato di linee. Poi hai ordinato del salame, del formaggio, una zuppa, insomma: hai cenato, solo un po' imbarazzato dal grosso tipo a fianco, ma non ti aveva ancora rivolto la parola, questo era capitato solo quando eri arrivato alle aringhe: aveva iniziato a parlarti in ceco, non conosceva altre lingue, almeno non l'italiano, il francese o l'inglese.

 

"Palacki budejovice?". Ecco, ti ha di nuovo fatto una domanda, un'altra. Rispondi al suo sguardo interrogativo con un'espressione imbarazzata, e in questo modo vi guardate per un tempo che a te sembra dieci minuti. Poi al tavolo arriva l'oste, evidentemente chiamato dall'uomo enorme, ma tu non hai capito in che modo ciò sia capitato. L'uomo gli parla, fa dei gesti, indica verso di te, alza la voce con ira, poi l'oste si allontana. L'uomo ricomincia a parlarti e di tanto in tanto getta un'occhiata minacciosa verso il banco della mescita e la cucina. Parla e parla, non si cura che tu capisca oppure no, e nemmeno si aspetta che tu risponda, non te ne lascerebbe il tempo. Devi ammettere con te stesso di avere vissuto momenti in cui ti sentivi maggiormente a tuo agio.

Dopo qualche minuto passato ad ascoltare l'uomo enorme pronunciare suoni sconosciuti con discreta enfasi, arriva l'oste con un piatto di fette di carne arrosto. L'uomo prende il piatto guardando con occhi cattivi l'oste e ordinandogli di allontanarsi, te lo mette davanti, poi prende una bottiglietta di tabasco, ne versa mezza sulla carne, e dice una parola, forse significa "Mangia", o qualcosa del genere.

Tu sorridi, lo guardi, guardi il piatto, non hai più fame. Lui spinge verso di te il piatto e ripete la parola di prima, allora prendi un pezzo di carne e lo mangi. È buono. Mentre l'uomo ricomincia a parlarti fittamente tu mangi la carne, ce n'è tanta, senza che il tuo anfitrione ti aiuti a finire il cibo.

Quando hai mangiato tutta la carne l'uomo fa un ruggito, improvviso, cattivo, rivolto al bancone della birreria, e prima che tu possa capirne il significato arriva l'oste che gli mette qualcosa in mano. L'uomo dà una manata sul tavolo e, quando la toglie, rimangono due sigari cubani avvolti nella carta e un pacchetto di fiammiferi. L'uomo fa di nuovo il gesto di offerta verso di te. Ti chiedi se sia normale per una birreria di Mala Strana che accada tutto ciò, e non sei sicuro di avere capito quello che c'è da capire. Ti guardi intorno e vedi che non è arrivato nessun turista, continui ad essere l'unico, ma almeno sembra che gli altri avventori non si curino di te: non ti fissano come se fossi un alieno, come capita nei film del terrore quando lo sconosciuto entra nel locale dove inizieranno a capitare cose strane e inquietanti.

Tutto sommato il sigaro ti fa piacere, te lo accendi e prendi una boccata, poi offri l'altro sigaro all'uomo, che rifiuta con la mano aperta, te lo prende e te lo infila nel taschino della camicia. Allora tiri un'altra boccata dal sigaro acceso, poi glielo offri, e lui lo prende e ne fuma un po' prima di ridartelo. Bravo, ti sei comportato bene. Confortato da questo successo fai un cenno all'oste, e gli fai capire che offrirai la prossima birra al tuo compagno di tavolo. L'uomo parla ancora, e tu continui a non capire di cosa. Poi gli chiedi: Qual è il tuo nome? indicandolo. Lui ti capisce e risponde Karel. Tu gli rispondi, più a gesti che a parole, Karel, come me, io mi chiamo Carlo. Karel, Carlo, dice, e ti fa vedere il pugno, un pugno enorme, sorridendo. Tu credi di avere capito il gesto, e fai anche tu il pugno, un pugno normale, e appoggi le nocche e le prime falangi delle dita sulle sue. Lui allora fa il segno della pistola verso di te, e anche tu lo fai. Sorride. Sorridi: meno male, avevi capito bene. Mettere il tuo piccolo pugno a contatto col suo ti ha fatto capire, in modo tangibile, la differenza di dimensioni tra te e lui.

 

Passa incredibilmente qualche istante in cui l'uomo non parla, allora a gesti gli proponi: dopo possiamo andare a fare una passeggiata sul Karluv Most, il ponte Carlo, che collega il quartiere di Mala Strana con il resto della città. Lui fa un movimento di disprezzo e, a smorfie e gesti, ti fa capire che lui sul ponte non ci va mai, forse non c'è mai andato, perché porta fuori da Mala Strana, e lui non vuole andare fuori da Mala Strana. Solo in quel momento dai importanza a ciò che avevi appena notato prima: l'uomo non ha le scarpe, invece indossa le ciabatte. Ha i pantaloni di una tuta e una camicia pesante, un abbigliamento più adatto per stare la sera a casa che in una birreria.

A un certo punto Karel fa il pugno - ma fa sempre il pugno questo qua? - e lo mette davanti a sé, sul tavolo, e vuole che lo faccia anche tu. Allora anche tu fai il pugno e lo imiti mettendolo sul tavolo davanti a te. Tira fuori una piccola scatola di latta, la apre e ti mette una polverina chiara sulla mano, ne fa due piccoli mucchi sulla tua mano. Fa lo stesso sulla sua mano: due piccoli mucchi di polvere, ti fa il cenno di imitarlo, poi mette il naso sul suo pugno e con un veloce movimento della testa inspira violentemente la polverina di un mucchietto, poi ripete l'operazione con l'altro mucchietto e ti guarda soddisfatto, invitante. Non sai cosa stai per fare, e il fatto che l'abbia prima fatto lui non significa nulla: si tratta di droga? Di un sonnifero che a lui non farà effetto per assuefazione? Ti vuole rendere innocuo per farti qualcosa che non hai alcuna intenzione di conoscere? In realtà ti senti già alla sua mercè: in un luogo straniero, non conosci nessuno, con un tipo grosso il doppio di te che ti ha preso di mira: no, non avresti molte probabilità di cavartela in ogni caso, drogato o non drogato.

Anche tu, allora, metti il naso sul pugno e tiri su con il naso: ti senti riempire la testa di freddo: sa di menta. Ti senti stordito e un po' eccitato nello stesso momento, continui a non sapere cosa sia la polvere, ma ti sembra che non faccia più effetto di una normale sigaretta. Non ancora, perlomeno. Lo fai anche con l'altro mucchietto.

L'uomo ora parla più a gesti e meno con parole incomprensibili, ti sembra che sia più interessato a farsi capire rispetto a prima, a volte dice qualche parola in inglese, a tu capisci che lavora al Castello, che sì, abita vicino alla birreria, e che passa le serate a bere birra da solo o con gli amici, sempre in questa stessa birreria, ma di questo eri sicuro, l'avevi capito per come si trovava a suo agio nell'ambiente. Gli chiedi che lavoro fa al Castello, ma l'uomo si infervora nella risposta, inizia a parlare concitatamente e tu non capisci molto di ciò che ti spiega: lavora in ufficio, forse come funzionario, addetto a qualcosa inerente la giustizia, oppure come messo addetto a eseguire compiti assegnatigli dai funzionari, oppure come guardia giudiziaria, o qualcosa del genere. L'uomo ti fa un cenno, come per dire aspetta, torno subito, e si allontana, pensi che sia andato al gabinetto.

Sei indeciso: forse questa è l'occasione per andarsene, per liberarsi da questa situazione strana, che potrebbe essere pericolosa. Tutto sommato Karel non ha fatto nulla contro di te, non ti ha minacciato, non è stato aggressivo, ma la situazione non è sotto il tuo controllo, non sei a tuo agio. Ma poi, pensi, se fosse davvero amichevole come vuole fare sembrare, se non avesse nessun pensiero malvagio, se volesse solo passare la serata a bere birra con qualcuno che lo ascolta, anche se non capisce nulla? Ti dispiacerebbe se, tornando dal bagno, non dovesse più trovarti. Pazienza, hai deciso: te ne andrai. La situazione è troppo spiacevole, e ti senti di non avere più alcun controllo su ciò che potrà accaderti, senti di essere alla mercé dell'uomo.

Ti alzi, vai verso l'oste “The bill, please, il conto”. “You have to wait” ti risponde, devi aspettare, e ti fa segno di risederti al tuo posto. Tre uomini della birreria si sono messi sulla porta di accesso, con una noncuranza simulata, ma hanno la faccia dura, e non ti permetterebbero di uscire. Ti senti osservato, tutti stanno guardando verso di te con visi senza espressione, senti di stare sudando, hai la faccia bollente e i brividi di freddo, ti lasci accompagnare dolcemente dall'oste al tuo tavolo e ti risiedi. Ora hai mal di testa, cerchi di fissare lo sguardo sugli angoli del locale, cerchi in qualche modo di fermare il cervello che ti gira nella testa.

 

Stai guardando lo spigolo del tavolo, come se da questo dipendesse il tuo futuro o la tua salute, quando, dopo un periodo che potrebbe essere di cinque minuti, il chiasso della birreria improvvisamente finisce. Il silenzio è tale che senti per la prima volta il rumore dell'acqua che esce dal rubinetto del bancone. Alzi gli occhi e li porti sull'ingresso della birreria, vedi il nero dell'apertura che dà sull'androne di accesso. Poi guardi meglio: non è solo il nero dell'apertura, c'è anche il nero della sagoma di un uomo. La sagoma occupa tutto lo spazio della porta della birreria. Guardi più attentamente la sagoma.

Ha un cappello nero con una piccola visiera lucida, come i cappelli dei ferrovieri, una giacca nera con bottoni e decorazioni dorate in grande quantità, pantaloni neri con scarpe e guanti di pelle lucida, anch'essi neri. Alla cintura di pelle ha appeso un manganello, nero. Nel momento in cui è apparsa la sua massa imponente sulla porta immediatamente si è zittita la birreria, e il silenzio è stato assoluto. Finalmente lo riconosci: è Karel. È cresciuto ancora da quando è uscito dalla birreria, ne sei sicuro, non sai come, ma è cresciuto.

Guardi Karel e lui guarda te, pensi che tutti nel locale stiano guardando Karel, colpiti dal suo ingresso in completa uniforme. Poi sposti lo sguardo e ti accorgi che è te che stanno guardando, gli avventori e l'oste, sei tu il punto focale del locale, e sei a disagio. Passa forse un minuto, forse molto meno: Karel immobile sulla soglia ti fissa, tutti nel locale ti fissano, tu stai sudando e sposti lo sguardo sulle persone intorno a te, sperando di trovare un volto amico, un sorriso, ma non lo trovi. Poi Karel volta la schiena ed esce nuovamente, senza un cenno, senza un segnale. Il tuo sguardo cade sull'oste che con un movimento della testa ti dice vai, seguilo.

Sei confuso, non sai cosa fare poi, senza averlo pensato prima, senza volerlo fare, ti alzi ed esci anche tu dal locale che, lo senti, rimane immerso nel silenzio.

 

Vai nell'androne buio, vedi un'ombra più buia, quella del tuo anfitrione, lui si infila nel cortile e tu lo segui, poi su per una scala, e attraverso corridoi, scale, cortili, cantine, e anche se vi muovete nell'oscurità sai che state salendo al Castello: la birreria si trovava proprio sotto il Castello. La camminata ti sta facendo bene, la testa non ti gira più, sei più lucido, anche se non sei più tranquillo, anzi. Dove state andando? Non riesci a pensare a nulla che non sia seguire la tua guida, non riesci a concepire la fuga, o qualsiasi tentativo di uscire da questa situazione: puoi solo seguirlo, null'altro.

Camminate in silenzio per dieci minuti, forse di più, Karel davanti e tu dietro, infine arrivate nel terzo cortile del Castello, dietro la cattedrale, lo attraversate, entrate in una porta e scendete alcune rampe di scale. Giunti in un corridoio senti la voce di Karel.

"Cvasi arivati".

"Lei parla italiano?"

"Poco, sì".

"Perché non l'ha detto prima?"

L'uomo continua a camminare, di nuovo in silenzio, fino ad arrivare a una porta di legno difesa da due guardie. Una guardia apre la porta.

 

Luglio 2013

 

 

--- Se avete una buona idea di finale per il racconto potete segnalarlo a scrivi@carlocinato.com. Potrete semplicemente descrivere il finale, e Carlo lo scriverà sulle vostre indicazioni (se gli piacerà), oppure potete scriverlo direttamente voi e verrà pubblicato sul sito (se verrà ritenuto interessante). Verrete indicati come autori del finale, e il pezzo da voi scritto rimarrà di vostra proprietà, pur se pubblicato sul sito Carlocinato.com con le regole sui diritti d'autore proprie del sito. ---

 

 

Finale proposto e scritto da Vasco Ferretti

 

"Mein lieber Karel" tuona improvvisamente una voce al di là della porta spalancata dalla guardia. "Chi è la persona che ti accompagna?". Ad un tratto intuisci che si parla di te. Sei appena arrivato in questa città perché qui dal Castello ti hanno chiamato. Ma fin dall’arrivo nella birreria nessuno sembra accettarti facilmente. Non soltanto perché non parli la loro lingua, ma perché sei uno straniero. Stai, perciò, ben accorto a quanto sta per accadere perché sai che il tuo destino a legato a queste circostanze.

Di là dalla porta, nel grande salone, un generale in divisa nazista campeggia in cima a una lunga tavola apparecchiata con vasellame e bicchieri di Limoges e imbandita con grandi vassoi colmi di selvaggina arrosta. Ad ambo i lati stanno seduti ufficiali tedeschi della Wehrmacht, funzionari del governatorato, uomini delle Schutzstaffein e della Gestapo. Quando Karel, davanti a Karl Hermann Frank, der Gauleiter von Prag, si toglie in segno di deferenza il cappello nero con la visiera e si ricompone i bottoni dorati della giacca, tu ti senti smarrito. "È l’agrimensore K. che è stato chiamato al Castello" risponde Karel che d’improvviso sembra conoscerti come nessun altro ed esser, da guida, arbitro del tuo destino.

"Ach so!" dice il capo della polizia di Praga Willy Tensfeld che occupa l’ultimo poto del tavolo, occhi porcini, capelli rasati sulle tempie fin dietro le orecchie, la bocca senza labbra sporgenti. "Si faccia avanti, signor K." dice rivolto a te, mentre si asciuga dalla bocca il sugo della cacciagione. "E mostri i suoi documenti di identità. Non vorremmo che lei fosse per caso parente di quel Franz Kafka, ebreo praghese, morto venti anni fa, che nel suo romanzo Il Castello parla proprio di un K. agrimensore". Non sai cosa rispondere perché il terrore di un fraintendimento può spedirti di colpo in un lager e il solo pensiero ti gela il sangue nelle vene, per cui, mentre mostri le tue credenziali, ti affretti a smentire tutto.

Udito il nome di Kafka, tra i commensali nasce una concitata discussione tra il nome del suo racconto Die Verwandlung e Vernichtung. Perché, questo si dicono tra di loro , il primo sta per Metamorfosi dell’ebreo Gregor Samsa in un grosso insetto "als eines Morgens fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheueren Ungeziefer verwandelt" e il secondo per Annientamento degli ebrei perché "il loro sangue infetto genera malattie e la loro usura disordine economico". Dicono gli uni che a suo tempo Goebbels commise un grave errore a mandare al rogo le opere di Kafka perché con La Metamorfosi egli ha detto che ogni ebreo è uno scarafaggio. E se gli ebrei sono tali, dicono gli altri, c’è una ragione per cui nei lager li uccidiamo con lo Zyklon-B, l’acido prussico. Ach, so! Sghignazzano tutti assieme. Ad Auschwitz faremo cambiare l’insegna. Non più Arbeit macht frei, ma Zyklon-B macht frei!

Tu vorresti dire che non sei ebreo, ma temi che Karel per ingraziarsi chi comanda la città ti smentisca. Dici soltanto che l’agrimensore ha una missione da compiere, quella di misurare e commisurarsi con il mondo per dare un senso alla propria vita perché sai che questo è il vero significato nascosto di quel libro, Il Castello. Ma temi che non ti credano. E infatti il Gauleiter dice "Ja,Ja. Tutti abbiamo una missione da compiere. I nostri agenti della Sichereitsdienst e della Gestapo smascherano gli ebrei e i traditori che si annidano in mezzo a noi, il nostro valoroso esercito combatte la guerra contro i selvaggi bolscevichi e i gangster americani".

Mentre Karel si ritrae e le due guardie con la svastica sul braccio ti si avvicinano, avverti come imminente il tuo arresto e sai che probabilmente finirai in una Colonia penale perché ti ritengono, come tutti gli stranieri che non sono ariani, un ebreo. Il Gauleiter, infatti, continua a declamare che la guerra più difficile la combatte lui perché, sebbene non ami il popolo ceco, vuol esser magnanimo come lo erano gli imperatori romani. "Panem et circenses!" esclama e gli altri a dire "Ja. Ja!" ed egli beffardo "Gut! Sehr Gut! Allora da domani karloveské, vepro e bier per tutti!" Qualcuno obietta che basterebbe una krautisch zuppe, una zuppa di crauti con Schwarbrot, con pane nero. Ma egli vuol apparire generoso con il popolo . A mezzanotte ha infatti ordinato una festa per il popolo. La festa dei fuochi d’artificio dal Castello. "Fuochi d’artificio?" mormora qualcuno dei suoi. "Nein! Fuochi di artiglieria a questo popolo di traditori!" Ma il Gauleiter non li ascolta e invita tutti sul grande terrazzo da dove giù in basso già esplodono su Mala Strana e il Ponte San Carlo miriadi di luci e coloro scagliati come razzi nel cielo che rimbomba di strepiti e tuoni.

Ti accorgi che dal salone Karel è scomparso. Ora le guardie del Castello ti trascinano via lungo l’antico corridoio Vladislavsky. Qui ai tempi del regno di Boemia si tenevano i tornei cavallereschi in onore del principe e dell’amor cortese. Tu, invece, sai che non avrai scampo perché la tua vita è approdata in questa città governata dal simbolo della svastica in un tempo segnato da barbarie e inciviltà.

 

Marzo 2014, Vasco Ferretti

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