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L'uomo senza cappello e la donna con le scarpe grigie

 

Paragrafo 2.2

 

L'uomo senza cappello si prendeva degli impegni fissi. Gli dava grande soddisfazione sapere che tutti i lunedì sarebbe andato al cinema, che tutti i martedì avrebbe giocato a tennis, che tutti i giovedì sarebbe andato in ospedale per fare del volontariato, che tutti i venerdì sarebbe andato a cena dai genitori, che tutti i sabato pomeriggio avrebbe fatto le compere al mercato e che la domenica sarebbe andato alla messa delle dieci, quella dei ragazzi, oppure alle otto, con le vecchiette, nel caso avesse degli impegni per la giornata. Avrebbe fatto l'impossibile per mantenere gli impegni presi, e più volte aveva peggiorato dei malanni per non avere voluto rinunciare a uscire di casa.

Il non cedere all'impulso di fare saltare un impegno assunto (peraltro, un impulso che lui non aveva mai provato) lo faceva sentire un titano della moralità, un bastione della buona volontà umana, un vittorioalfieri che avrebbe redento l'umanità dalla propria pigrizia.

 

Quella sera era giovedì sera, e l'uomo stava tornando in auto dall'ospedale. Era andato a tenere compagnia a un malato che non aveva visto prima di quel giorno e ad aiutarlo a cenare. Gli faceva piacere spendere una o due ore alla settimana facendo il volontario: era un comportamento egoista, un modo per essere più in pace con sé stesso, per sentirsi una persona migliore di quella che era realmente. E per sentirsi tanto buono e umile quando pensava agli amici, che neanche si immaginavano quanto lui fosse una brava persona, poiché pochissima gente conosceva questo suo impegno (no, giovedì sera proprio non posso uscire, ho da fare) e, anzi, il giovedì sera dell'uomo era diventato una specie di barzelletta nella sua compagnia (che facce faranno quando scopriranno che cosa ho fatto tutti i giovedì sera degli ultimi anni).

 

Non era stata una bella serata: l'uomo non pretendeva che il malato che era andato a trovare si sperticasse in ringraziamenti ed elogi per la sua bontà, non era per questo motivo che andava in ospedale, e poi capiva che i vecchi abbandonati in ospedale dai figli potessero avere dei motivi per essere risentiti verso il mondo, però neanche gli faceva piacere l'indifferenza per il suo gesto. Quella sera non aveva trovato ringraziamenti, e neanche indifferenza.

Il malato era nel letto, avrà avuto cinquant'anni, di fianco a lui era in piedi il figlio.

- Non ho intenzione di mangiare, perché dovrei mangiare? Chi è lei che vuole farmi mangiare?

- Guardi che io non voglio fare mangiare nessuno, sono venuto a tenerle compagnia, se lei desidera mangiare e ha bisogno di me posso aiutarla, altrimenti per me è indifferente.

- Tenermi compagnia? Io non ho bisogno di nessuna compagnia, chi l'ha mandata? - Guardò il figlio di traverso, ma il figlio fece finta di non accorgersene.

- Non lo so, se non l'ha chiesto lei è stato qualcuno dei suoi famigliari: avranno telefonato all'associazione di volontariato e avranno chiesto di mandare qualcuno che stesse con lei.

- Bella roba: mandano qualcuno a tenermi compagnia. Se ne vada, faccia così, mi lasci stare.

- Come desidera, vi auguro una buona serata. - L'uomo senza cappello strinse la mano del figlio, poi la allungò verso il malato che girò la testa dall'altra parte, lasciandolo col braccio teso.

Quando uscì dalla camera non sapeva cosa stava provando: tristezza, rabbia, delusione, stupore, indifferenza, desolazione, amarezza. Un insieme di tutto questo, e fastidio per avere perso del tempo in un modo così stupido. Telefonò all'associazione, e disse che l'indomani non era più necessario mandare un volontario da quel malato.

 

Tornando a casa, poi, si accorse di stare guidando troppo velocemente, troppo nervosamente: voleva fare pagare la sua frustrazione a qualcuno. E tamponò la Punto rossa di quella donna.

 

Capitolo 2.

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